Psicologo-Psicoterapeuta ad orientamento gestaltico - Monza

La terza età e i suoi temi: l’altro come custode delle memorie e del senso della propria esistenza

feb
2021
10

scritto da on Letture utili, Pensieri

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anziani

La pandemia che sta attanagliando il nostro mondo ha potentemente sottolineato la vulnerabilità della terza età. Non che non ci fosse già chiaro che l’invecchiamento produce fisiologicamente uno stato di vulnerabilità, ma finora lo sguardo verso questa età aveva fotografato la fragilità fisica solo nei casi di patologie degenerative o croniche. Oggi si arriva agli “anni verdi” in ottime condizioni di salute e determinati a godere la vita il più possibile. Questo ci ha fatto dimenticare che la vulnerabilità è un fattore potenziale intrinseco negli anziani.

Il Covid19 non solo ha riportato in figura la fragilità fisica ma ha aperto una breccia anche su quella emotiva. Ecco dunque che gli anziani sono diventati “vecchi” improvvisamente. E altrettanto improvvisamente sono diventati fragili: nel nostro immaginario attuale l’anziano non è più il signore 80enne, ancora in forma, che va a giocare a tennis con gli amici o che guida per tanti chilometri per raggiungere la località balneare per le vacanze estive. L’anziano di oggi è chi, a causa del Covid, deve rimanere chiuso in casa, obbligato quando va bene a limitare movimenti e contatti per proteggersi. Nei casi estremi, invece, è chi deve sopportare la solitudine conseguente all’isolamento dai suoi affetti, spesso in una camera di ospedale o in RSA. Una fetta di popolazione è invecchiata d’un tratto e richiede le nostre cure e la nostra attenzione.

Costringendo gli anziani al distanziamento da amici e parenti, la pandemia ne ha portato alla luce il mondo emotivo e i temi che caratterizzano questa fase del ciclo di vita e che prescindono dalle condizioni di salute: anche chi gode di buona salute e di efficienza vive sul proprio sfondo esistenziale e si confronta con queste tematiche.

Questa epoca della vita porta con sè diversi temi: la solitudine, la consapevolezza di una vita che è stata per gran parte vissuta, il tirare le somme di ciò che si è realizzato e di ciò che è rimasto incompiuto, il confronto con il tema della morte, della perdita degli amici di un tempo, della propria autonomia, della forza. A ciò si aggiunge la forte sensazione che il mondo si è trasformato, è irriconoscibile (la tecnologia che diventa estranea, i valori del mondo attuale non sono più sentiti come propri), il sentire una certa nostalgia per il passato e al contempo  la consapevolezza che non tornerà più. Tutti questi sono pensieri ricorrenti che spesso non trovano tempo e spazio per essere raccontati o elaborati con qualcuno.

Chi si trova vicino ad un anziano si accorge facilmente della loro tendenza a raccontare momenti di vita ed episodi, magari in maniera sempre uguale. Questa sorta di ripetizione, li fa apparire spesso lamentosi e incapaci di andare avanti e di essere ottimisti. Non è però questione di mancanza di ottimismo. Semplicemente è la realtà delle cose: arriva un momento in cui c’è bisogno di elaborare quello che siamo diventati e ciò che abbiamo fatto della nostra esistenza, per darle un senso e un significato. Fa parte del naturale processo di crescita che riguarda tutti fino all’ultimo giorno della nostra vita. Utilizzando i concetti della psicoterapia della Gestalt potremmo dire che l’intenzionalità di contatto dell’anziano è quella di condividere e elaborare i ricordi (dall’etimologia re=di nuovo e cor, cordis=cuore – un tempo considerato la sede della memoria -, tenere a cuore, ciò che si tiene a cuore e nel cuore) e le sensazioni, consegnarli a qualcuno con il senso di tramandare (da tra=oltre, e mandare, mandare oltre, inteso alle nuove generazioni) per rimanere nella memoria di qualcuno, per avere il senso di lasciare la vita senza essere dimenticati.

Questa necessità di elaborare e di assimilare ciò che la vita è stata, non è qualcosa di cui possono farsi carico i figli, sia perchè è difficile confrontarsi e prendersi carico del mondo interiore di un genitore, sia perchè il tempo del genitore non corrisponde a quello del figlio: la sua sensazione è spesso quella di essere rallentato dai racconti, dal tempo che il genitore richiede. Talvolta invece, sono i nipoti, soprattutto se piccoli, a svolgere questa funzione: la loro curiosità li pone in un atteggiamento che in parte è quello di cui i nonni hanno bisogno, ma non lo soddisfa del tutto.

Il processo di assimilazione di ciò che si è diventati da anziani porta con sè anche il confronto con il tema della morte. Per pudore, e per la difficoltà a mostrarsi fragili e parlare di un tema così carico emotivamente, anche su questo gli anziani si trovano da soli. Un tempo era qualcosa che veniva confidato a un confessore o a una guida spirituale. La società odierna, dominata dall’accelerazione e dal superamento dei limiti, richiama costantemente la necessità di essere performanti e sempre allegri, impedisce di fermarsi per vivere relazioni profonde e significative con cui condividere i propri vissuti. Assumendo una prospettiva che non considera i limiti, ci spinge a scotomizzare dall’orizzonte la morte, limite per eccellenza, e rende difficile dialogare con la finitudine intrinseca alla nostra esistenza. Incapaci e impossibilitati a toccare le profondità della propria anima, questo bisogno rimane inascoltato.

Promuovere percorsi di sostegno rivolti agli over, individuali o in gruppo, con professionisti che abbiano esperienza dei temi emotivi di questa fase del ciclo di vita, vuol dire accogliere e ascoltare  quella parte profonda ed emozionale che l’anziano vuole affidare. La novità di consegnare le proprie memorie e il proprio sentire a un altro che sia custode delle paure, dell’incompiuto, dei pensieri e dei vissuti sulla morte, è un modo per ritrovare la serenità e vivere con maggiore integrità questo tempo della vita.

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