Psicologo-Psicoterapeuta ad orientamento gestaltico - Monza

Coronavirus e limiti: la finitudine come possibilità

mar
2020
08

scritto da on Letture utili, Pensieri

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Quello che succede in questi giorni rimarrà registrato a lungo nella nostra memoria. È una discontinuità, improvvisa, come quella che solo i grandi cataclismi, le guerre e i terremoti, possono dare. Nella società dell’opulenza, del benessere, della scotomizzazione di qualunque limite anche quello che ci costituisce come esseri umani (l’aspettativa di vita si è alzata, l’ottantenne che si gode la vita è considerato – e si sente – non un anziano ma una persona matura), un nemico invisibile ci coglie impreparati, restituendoci all’improvviso la nostra mortalità, facendo vacillare le nostre certezze che sono in realtà costruite sull’illusione di poter controllare la vita, il mondo intorno a noi e naturalmente un virus.

Se una cosa il COVID19 può offrirci è l’occasione per recuperare la nostra finitudine e la consapevolezza del nostro essere relazionali. Mai come in questo momento si fa vivo il senso di essere sottilmente collegati con l’Altro, cosa che spesso dimentichiamo. Per Altro intendo si il mio vicino, ma anche l’ambiente in cui vivo, che mi restituisce, in un gioco di sottili equilibri, il mio tentativo di andare oltre i limiti. Nelle ultime ore stiamo sperimentando con grande evidenza come il mio benessere è legato alle scelte degli altri, così come le mie azioni hanno una ricaduta sugli altri: siamo tutti interconnessi e la libertà non è un mero costrutto ma una cosa concreta, misurabile, con delle conseguenze.

Affinchè il COVID19 non sia solo una brutta storia da dimenticare ma una occasione di crescita, dobbiamo cogliere l’occasione per riflettere sulla globalizzazione, sui mercati liberi, sul consumismo sfrenato che ha segnato gli ultimi anni, che ha limitato il nostro sguardo, facendoci ripiegare su noi stessi e facendoci dimenticare del nostro senso di responsabilità. Il COVID19 non ha fatto altro: rendere visibili i fili invisibili delle nostre interconnessioni, dei nostri legami anche oltreoceano, l’assenza di limiti e l’incapacità ad avere un pensiero collettivo, una visione lungimirante.

La reazione alle restrizioni imposte in questi giorni per il nostro benessere ha generato un panico che neanche la preannunciata pandemia ha creato. Abituati come siamo a regolarci partendo soltanto dal nostro individualismo, senza considerazione alcuna degli effetti delle azioni personali sulla collettività, c’è stato bisogno di alzare le misure restrittive per arginare un’auto-referenzialità sfrenata, assolutamente dannosa soprattutto in un momento come questo. E piuttosto che comprendere i limiti e adattarsi, si è riusciti a pensare all’impossibile pur di trovare una spiegazione, dal complotto per ragioni economiche, alla pandemia creata ad hoc, facendoci reagire con l’oppositività tipica degli adolescenti. Ecco i figli della società occidentale, che vive la libertà come un diritto e dimentica che la libertà è anche un dovere e che i limiti non sono solo qualcosa da travalicare a tutti i costi ma anche una protezione. Per tutti. Ecco, l’augurio è che il nemico invisibile COVID19, al pari di una guerra in cui si tralascia il bene individuale per la collettività, possa fare emergere il senso di comunità sepolto sotto decenni di spinte individualistiche ed egocentriche.

Forse questa reazione è anche la forma che prende il sentire all’improvviso che siamo mortali. Nell’ordinario della quotidianità ci siamo dimenticati della nostra mortalità, abituati a pensare il nostro corpo come una macchina, con pezzi che possono essere sostituiti a piacimento per regalarci l’illusione di un limite sempre più differibile, che profuma di eterno ma nasconde la peggiore delle insidie, farci vivere guardando oltre e non guardandoci intorno, assaporando le piccole gioie della quotidianità. Purtroppo però, la saggezza del nostro corpo non può essere elusa con questi trucchetti di prestigio e mentre sostituisco un’anca o una rotula a ottanta anni per tornare a camminare dritto come un trentenne, l’angoscia che nasce dal sentire la mia finitudine e il tema dell’esistenza, del senso della vita, corre sotterranea e si fa visibile attraverso altri sintomi, magari ansia, depressione, angoscia fluttuante, che però posso tenere a bada, ancora, con farmaci e pilloline, e così il tema esistenziale riprende il circolo vizioso e deve trovare altre strade sotterranee per poter emergere con le sue domande.  E oggi la paura si fa ancora più grande perché al momento non esistono pillole per COVID19, sensazione insopportabile per noi “illusi immortali”.

COVID19 fa emergere una domanda di marzulliana memoria: È più piena la vita fatta di piccole cose e della concretezza dei sensi, di un ordinario regolare o è piena quella vita fatta di esperienze affastellate, straordinarie, vissute di corsa senza poterne assaporare il gusto fino in fondo, dovendo vivere in costante accelerazione e al di sopra delle nostre possibilità?

Molte delle persone che in questo periodo di rallentamento, hanno dovuto limitare i loro viaggi e magari approntare il loro ufficio sul tavolo della sala da pranzo, stanno scoprendo un ritmo più congeniale e rispettoso della nostra umanità spesso dimenticata, lanciati come siamo alla ricerca dell’impossibile, della performance spinta all’estremo. Così possiamo assaporare i legami, in primo luogo quelli familiari, il calore del contatto, del guardarsi negli occhi, dell’ascoltare insieme un tg e magari riflettere insieme sulle notizie. E poi magari fare una passeggiata al parco, rispettando le distanze, guardare gli alberi o un laghetto e il silenzio della domenica mattina con poche auto e ritrovare il cielo terso, complice la riduzione del traffico che ha fatto calare a picco il livello di inquinamento delle città. E come non menzionare la bellezza di ritrovarsi in famiglia riunita per pranzo ogni giorno della settimana, cosa a cui non eravamo più abituati, forse neanche più la domenica, indaffarati con le trasferte di campionato dei figli. E come non pensare alla riscoperta del tempo libero per gli adolescenti – piccoli impiegati abituati ad un ritmo non fisiologico già dalla scuola materna se non anche dal nido- che un pò più liberi da scuola ed impegni sportivi, possono sperimentare la bellezza della noia dalla quale possono emergere figure nuove e vibranti della loro vitalità.

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